I Grandi capi – dare Voce

TRIBUTO A CAVALLO PAZZO.

 

DI CAVALLO PAZZO, CRAZY HORSE, NON CI SONO FOTO, LUI DICEVA CHE LA MACCHINA FOTOGRAFICA GLI RUBAVA L’ANIMA.

( MIA OPINIONE: COSA CHE OGGI NEI SOCIAL SI FOTOGRAFONO PERSINO IL CIBO CHE TU MANGI. POVERA UMANITÀ.

HOKA HEY.

UN CUORE, UN’ANIMA, UN CORPO DI INDIANO: JOHN TRUDELL.
HOKA HEY…HOKA HEY, UN NOME, UN’ANIMA, UN POPOLO.

 

 

UNO DEI PIU’ BELLI DISCHI DI JOHN TRUDELL

 

Un poeta, un musicista, un cantautore, una musica tra blues e canti Nativi, una musica che ti smuove l’anima, il cuore e ti porta su nel cielo.

John Trudell, una vita di lotta per i diritti e la difesa del suo popolo, dei popoli.

CRAZY HORSE

Noi comprendiamo ciò che dici
Una terra, una madre
Non vendiamo la terra
Sulla quale cammina il popolo
Noi siamo questa terra
Come possiamo vendere nostra madre
Come possiamo vendere le stelle
Come vendere l’aria

Crazy Horse
Noi comprendiamo ciò che dici
( c’è ) Troppa gente
che non cede il terreno
Ma si sbagliano da soli
Il viso del predatore, possedeva una razza
Il possesso è una guerra senza fine
I bambini di dio si nutriscono con i bambini della terra
Ai nostri giorni, la gente non si occupano degli altri
Questi tempi sono i più duri
I frutti della cultura del profitto
Non è altro che un ornamento su una catena che si risalda
E fanno specchiare l’oro ( per il quale ) le persone perdono la ragione

Crazy horse
Noi comprendiamo ciò che dici
Una terra, una madre
Non vendiamo la terra
Sulla quale cammina il popolo
Noi siamo questa terra

Il nostro presente si nutre del passato
I fumi del sogno accarezzano le nuvole
Il giorno dove la morte non è la morte
Il tempo reale è un’illusione, le ombre mentiscono
Una visione in rosso e bianco non può
che portare la decisione

i predatori vogliono civilizzarci
Ma le tribù non lo lasciano fare
la luce dei nostri anziani viene dal di là
Diamo al nostro cuore una canzone che viene dal nostro cuore
Che vivono i giorni selvaggi, i giorni di gloria

Crazy Horse
Noi comprendiamo ciò che dici
Una terra, una madre
Non vendiamo la terra
Sulla quale cammina il popolo
Noi siamo la terra
Come possiamo vendere nostra madre
Come possiamo vendere le stelle
Come vendere l’aria

Crazy Horse
Noi comprendiamo ciò che dici
Crazy Horse
Noi comprendiamo ciò che dici
Noi siamo la settima generazione
Noi siamo la settima generazione.

 

DENNIS BANKS: FU UNO DEI LEADER DELL’AIM NELL’OCCUPAZIONE NEL 1973 DI WOUNDED KNEE. OGGI E’ IN PRIMA FILA CONTRO IL DIABETE, UN VERO PROBLEMA PER I NATIVI AMERICANI.

 

MATHEW KING – IL MIO NOME E’ NOBILE UOMO ROSSO.

Mathew King è stato per molto tempo il portavoce dei capi tradizionali della Nazione dei Lakota ( Sioux ) e l’interprete ufficiale di Franck Fools Crow, il famoso grande cerimoniale Lakota

HO RICEVUTO UN’EDUCAZIONE CRISTIANA FIN DA PICCOLO. MIO PADRE E DUE DEI MIEI ZII ERANO STATI CONVERTITI DA UN MISSIONARIO CHIAMATO VESCOVO HARE, CHE CI AIUTAVA A TROVARE CIBO A QUEI TEMPI, QUANDO CI AVEVANO PORTATO VIA I FUCILI E I CAVALLI E NON POTEVAMO PIU’ ANDARE A CACCIA. SE QUALCUNO SI CONVERTIVA, MANGIAVA MEGLIO. I BISONTI NON C’ERANO PIU’.

PER AIUTARE A DAR DA MANGIARE AI LAKOTA AFFAMATI MIO PADRE E I MIEI ZII DIVENTARONO MISSIONARI TRA LA LORO GENTE, MINISTRI DI CULTO RICONOSCIUTI NELLA COMUNIONE ANGLICANA O CHIESA EPISCOPALE. COSI’ DOPO IL LICEO, MIA MADRE MI MANDO’ AL SEMINARIO INDIANO DI SPRINGFIELD PER SEGUIRE LE LORO ORME.

MI PIACEVA SUONARE LA TROMBA NELL’ORCHESTRA DELLA SCUOLA, MA NON VOLEVO DIVENTARE PRETE. AL SEMINARIO DI SPRINGFIELD RIFLETTEI MOLTO SERIAMENTE E GIUNSI ALLA CONCLUSIONE CHE QUELLO CHE STAVO IMPARANDO NON FACEVA PER ME.

ERA LA VIA DELL’UOMO BIANCO, NON LA VIA INDIANA. COSI’ CON IL VESCOVO ROBERTS E GLI CHIESI:

” VESCOVO, POSSO SVOLGERE IL MIO LAVORO MISSIONARIO IN QUALCHE ALTRO MODO CHE NON SIA DIVENTARE UN SACERDOTE?”.

EGLI MI CHIESE: ” CHE COSA HAI IN MENTE?”.

GLI RISPOSI: ” VEDE, LA BIBBIA DICE CHE BISOGNA GUADAGNARSI IL PANE CON IL SUDORE DELLA FRONTE. MA PROPRIO ADESSO MOLTA DELLA NOSTRA GENTE NON SA COME FARE PER LAVORARE, NON SA COME GUADAGNARSI IL PANE CON IL SUDORE DELLA FRONTE, INVECE DI MORIRE DI FAME”.

” BENISSIMO!”, ESCLAMO’ VESCOVO ROBERTS. ” TI SOSTERRO’ AL CENTO PER CENTO!”

COSI’ LASCIAI IL MISSIONARIO E CERCAI DEI SISTEMI PER PROCURARE LAVORO AGLI INDIANI.

NEL 1958 MI HANNO ELETTO CAPO A PIENO TITOLO E SONO DIVENTATO PORTAVOCE DEI CAPI.

LE SETTE TRIBU’ DEI LAKOTA MI HANNO SCELTO COME PRESIDENTE. SONO STATO ELETTO PRESIDENTE ANCHE DELL’INTERNATIONAL INDIAN TREATY COUNCIL, COSI’ SONO DIVENTATO PORTAVOCE DI 280 TRIBU’.

A UN CERTO PUNTO ERO PRESIDENTE DI SEI DIFFERENTI ORGANIZZAZIONI.HO FATTO MOLTI VIAGGI A WASHINGTON PER PARLARE A NOME DELLA MIA GENTE. SONO ANDATO IN FRANCIA, IN INGHILTERRA, IN GERMANIA, IN OLANDA, IN SUD AMERICA, IN TUTTO IL MONDO. HO LAVORATO E VISSUTO PER LA MIA GENTE, PER FARLA VIVERE MEGLIO.

ADESSO HO SUPERATO GLI OTTANT’ANNI E STO RALLENTANDO, MI SONO RITIRATO DALLA MAGGIOR PARTE DEGLI IMPEGNI. OGGI STUDIO LA STORIA DELLA RELIGIONE INDIANA E STO RICERCANDO DI RECUPERARE TUTTO CIO’ CHE ABBIAMO PERDUTO. INSEGNO LA DANZA DEL SOLE AGLI INDIANI IN TUTTO IL PAESE. INSEGNO ALLA GENTE COME SI CELEBRA LA CERIMONIA DELLA CAPANNA SUDATORIA, COME SI NUTRONO LE RADICI DEL SACRO ALBERO DELLA DANZA DEL SOLE CON IL PROPRIO SANGUE, QUANDO SI OFFRE LA PROPRIA CARNE A DIO, INSEGNO LORO A PARLARE CON DIO; E’ IL LAVORO MIGLIORE TRA TUTTI.

QUESTE SONO DUNQUE ALCUNE DELLE COSE CHE HO FATTO NELLA MIA VITA. NON LE SCAMBIEREI CON NESSUN’ALTRA.

Due grandi uomini: Fools Crow e Mathew King

CHI SONO IO.

Sono un Indiano. Sono uno dei figli di Dio.

E’ ora che noi Indiani diciamo al mondo quello che sappiamo…Sulla Natura e su Dio. Perciò vi voglio dire quello che co e chi sono. Farete bene ad ascoltare. Avete molto da imparare.

Sono un Indiano purosangue della riserva di Pine Ridge nel sud Dakota. Il mio nome Indiano è Nobile Uomo Rosso. Era il nome di mio nonno. L’uomo Bianco l’ha tradotto male trasformandolo in ” King ” ( cioè Re, n.d.t.) perciò mi chiamano Mathew King, ma il mio vero nome, il mio nome Lakota, è Nobile Uomo Rosso.

Parlo a nome del popolo Lakota. Voi ci chiamate ” Sioux “, ma quello è un nome che ci ha dato l’ Uomo Bianco. Il nostro vero nome è ” Lakota “, che significa ” gente insieme ” oppure ” alleati “. Questo è il nome che diamo a noi stessi.

E questo è il nome con cui si chiama Dio.

Chiamatemi un capo Lakota. Sono un portavoce dei capi. Dico quello che ho da dire, è il mio dovere. Se non ve lo dico io, chi lo farà per me?

Io sono un profeta del popolo Indiano. Sono in grado di vedere quello che verrà e di predicare quello che succederà. Cammino con il Grande Spirito, con Dio, e parlo con Lui. Il Grande Spirito mi guida nella vita.

Qualche volta viene da me e mi dice cosa devo dire. Altre volte parlo solo a nome mio, a nome di Mathew King.

Fonte: Harvey Arden – Nobile Uomo Rosso – Edizioni Il Punto D’Incontro.

 

COCHISE, LA GUERRA CONTRO GLI AMERICANI.

APACHE PASS…LA TRAPPOLA – TAGLIARE LA TENDA.

Era il 1861, per il capo dei Chiricahua si avvicinavano i cinquant’anni, ebbe due mogli e quattro figli. Ma notizie contrastanti non ci permettono di capire le vicissitudine familiari di questo grande guerriero, mai indomato.

Cochise, insieme a Mangas Colaradas e a Miguel Narbona non hanno mai chiesto un trattato di pace con messicani o americani. Li hanno sempre combattuto, Miguel Narbona morì pare di vecchiaia nella sua tribù.

Solo quando capirono che oramai erano alle ultime forze Mangas Coloradas e Cochise chiesero la pace.

Mangas Coloradas fu assassinato proprio nel momento in cui chiese un trattato di pace. Fu ucciso a tradimento, altre versioni dicono che fu ucciso mentre tentò la fuga dall’accampamento dell’esercito, gli tagliarono la testa, presero il suo scalpo e il suo corpo gettato in una fossa.

Gli Apache era un popolo unito, se veniva ucciso un capo o un solo apache chiedevano subito vendetta e facevano partire spedizioni di vera e propria rappresaglia.

Sui fatti accaduti ad Apache Pass i rapporti ufficiali del tenente George Nicolas Bascom del 14 – 25 febbraio sono insoddisfacenti e tentano a coprire errori di cronologia, a volte appaiono ambigui, dublici e soprattutto a coprire il suo operato.

Nel 1861 fu pubblicato sul giornale Missouri Republican dopo nove mesi dai fatti un racconto di un soldato uscì un articolo dove si parlava della fuga di Cochise e condannava la dura azione e decisione del tenente Bascom.

Nei racconti di Geronimo, di altri Apache ed Eve Ball abbiamo il punto di vista dei fatti andati diveramente dai rapporti ufficiali scritti da Bascom.

Geronimo parla che nella tenda vi era Mangas Coloradas, sicuramente è stato un errore di trascrizione, invece l’unica differenza nel racconto di Eva Bell era che Cochise aveva ammazzato prima i suoi prigionieri.

L’avvenimento si predentava insignificante il 27 gennaio 1861. Una banda Apache razziò il ranch di John Ward dove vennero rubati una ventina di capi di bestiame. L’altra banda rapì un ragazzo di tredici anni. Il tempestivo arrivo di due americani evitò il peggio. In quel periodo erano molti forti i rapimenti che alle tribù apache servivano come scambi per la liberazioni di prigionieri da parte dell’esercito messicano.

Cochise fino in quel momento non aveva mosso guerra agli americani, poichè le razzie venivano fatte in territorio messicano. Tra i massicani e gli americani non vi era per nulla simpatia, per gli apache il territorio americano era una vera salvezza da pericoli. I messicani volevano distruggere gli apache che non si arrendevano e che non rispettavano i trattati. Un’infinità di trattati furono segnati tra messecicani e apache, ma tutti erano di breve durata, la causa maggiore era che i messicani non riuscivano a mantenere le promesse fatte soprattutto sulle razioni del mangiare.

Di questi due attacchi apache fu informato il Fort Buchanan e il giorno dopo George Nicholas Bascom senza nessun esperienza di indiani con un distaccamento di fanteria e cavalleggeri appena arrivati da Fort Breckenridge. Seguirono le tracce ma non trovarono assolutamente nulla.

Dopo alcuni giorni di inutili tentativi il tenente Bascom decise di accamparsi a Siphon Canyon e mandò dei messaggeri al campo di Cochise voleva parlare con il grande capo.

Cochise si presentò solo la sera del 4 febbraio all’ora di cena al campo. Non si presentò subito restò anch’egli in attesa dei suoi messaggeri che aveva mandato a Western Apache per raccogliere notizie dove realmente fosse il ragazzo rapito.

Cochise non sospettava delle intenzioni di Bascom, portò con se il fratello Coyuntera, due tre guerrieri (nipoti e cognato ), da sua moglie e dal figlio più piccolo Naiche. Durante la cena e dopo Il tenente mise sotto interrogatorio Cochise, il quale negò ogni sua partecipazione al rapimento del ragazzo e disse che il ragazzo era tenuto prigioniero nella tribù dei Coyoteros nelle Black Mountains e inoltre se il tenente gli avrebbe concesso una diecina di giorni avrebbe fatto di tutto per farlo restituire. Dapprincipio Bascom accettò l’idea, ma secondo il suo stesso rapporto e viste le azioni successive cambiò completamente idea, strategia. Secondo il rapporto Bascom disse di aver rilasciato Cochise, tenendo prigioniera tutta la famiglia. Ma secondo le versioni degli storici e degli Apache non andò proprio:

Bascom voleva tenere prigioniero Cochise con tutta la famiglia e mandare il fratello Coyuntera a prelevare il bambino. Il grande capo e Coyuntera estrassero i coltelli e tagliando la tenda riuscirono a fuggire. Nella fuga Coyuntera inciampò e cadde e quindi fu ripreso, mentre Cochise riuscì a farsi largo tra i soldati e a fuggire.

Dopo un’ora Cochise si presentò dall’alto della collina e chiese di vedere Contuyera, per tutta risposta Bascom gli fere rispondere con una scarica di fucileria.

Cochise levò la sua mano e disse urlando: – Il sangue indiano era buono quanto quello bianco, che la sua tribù era stata ingiustamente accusata del rapimento del ragazzo e si sarebbe vendicato.- Quella sera stessa Bascom decise di togliere il campo ritirandosi da Siphon Canyon, nella notte si videro i fuochi degli Apache accesi che controllavano ogni mossa dell’esercito.

Martedì 5 febbraio

I Chokonen si riunirono e lasciarono sul posto una bandiera bianca, Cochise tentò di parlare di nuovo con Bascom chiedendo il rilascio dei suoi familiari, la risposta del tenente fu sempre quella che avrebbe liberato i prigioneri solo quando avrebbe avuto il ragazzo.

Tra l’esercito e gli indiani ci si misero di mezzo gli impiegati americani della Butterfield Overland Mail Company conoscevano bene i Chokonen e così lasciarono la stazione della posta per prendere in mano la situazione e soprattutto calmare Cochise con la sua banda. Bascom o si arrabbiò e ordinò loro di ritornare indietro, non avendo nessuna giurisdizione sui civili non poteva farci nulla, si limitò a dire che se i tre americani fossero stati fatti prigionieri non li avrebbe scambiato con la famiglia di Cochise. I tre americani Wallace, Culver e Walsh o Welsh non obbedirono al richiamo del tenente Bascom commettendo l’errore di entrare in una gola furono subito fatti prigionieri. Cochise e un sottocapo Francisco si misero al riparo, mentre un gruppo di apache incominciò a sparare sul gruppo di Bascom, il sergente Smith fu ferito leggermente portava la bandiera bianca. Nella gola Curlver e Welsh riuscirono a liberarsi degli indiani e si diedero alla fuga verso la posta.

I soldati aprirono il fuoco e dalla confusione che si era stabilita scambiandolo per un indiano lo uccisero, Culver fu colpito alla schiena, ma lo raccolsero e lo portarono in salvo. Mentre Wallace rimase nelle mani degli uomini di Cochise. La sparatoria proseguì tra gli apache c’era anche Mangas Coloradas.

Quella stessa sera, i bianchi videro per tutta la notte gli Apache fare fuochi di segnalazioni e udirono canti di una danza di guerra.

Mercoledì 6 febbraio, la maattina trascorse senza incidenti, gli Apache e Cochise controllavano dalle alture il movimento dei soldati, mentre gli americani si aspettavano una battaglia. Il grande capo non aveva niente di simile in mente e verso mezzogiorno comparve sulla collina con il prigioniero Wallace legato alle braccia indietro la schiena. Cochise chiese ancora una volta di trattare la liberazione dei suoi familiari ed oltre al prigioniero offriva 16 muli. Boscom rifiutò ancora anche il sergente Reuben F. Bernard cercò di intervenire e far cambiare idea al suo comandante, ma non ebbe successo.

Mercoledì 6 feffraio – pomeiggio – poco dopo le tre del pomeriggio arrivò la diligenza ad Apache Pass, gli occupanti di tutto quello che stava succedendo non ne sapevano nulla. La diligenza era partita dalla stazione di San Simon doveva passare in una gola chiamata oggi Tevis Rock, gli apache con massi e fieno per dargli fuoco avevano bloccato il passaggio, ma la loro fortuna fu che avevano otto ore dd’anticipo rispetto all’orario e quindi riuscirono a passare incolumi.

Mercoledì 6 febbraio – a sera – Dopo che Cochise aveva sorvegliato i carri di Josè Antonio Montoya diretti a Las Cruces dove uno di essi era carico di farina. Quando i carri incominciarono a salire dalla valle Sulphur Springs per dirigersi verso Apache Pass. la sola preoccupazione di Montoya era cosa dare agli indiani nel caso chiedessero da mangiare. Ad un segnale di Cochise gli apache circondarono i carri e furono fatti prigionieri nove messicani e tre americani. Il grande capo diede l’ordine di eliminare i nove messicani che non sapeva che farsene e fece invece portare al campo i tre americani che voleva riprovare a scambiare con i suoi familiari.

Quella stessa sera Cochise ordinò a Wallace, il primo americano che teneva in ostaggio di scrivere un messaggio: ” Tratta bene i miei e io farò lo stesso con i tuoi, dei quali ne ho tre ( quattro ). Era chiaro che Cochise tentava di nuovo di scambiare i quattro americani con la sua famiglia. Il biglietto fu lasciato legato ad un cespuglio sulla collina e fu trovato solo due giorni dopo, questo secondo il racconto di un testimone. mentre nel suo rapporto Bascom fa capire che quel biglietto fu trovato la sera stessa. Ora se fosse stato come affermava Bascom, i corrieri che sarebbero partiti la mattina dopo avrebbero portato anche questa notizia. Invece il biglietto non fu ricevuto e le supposizioni potevano essere due: o Bascom temeva per una trappola o proprio non aveva affatto la conoscenza dell’esistenza di quel biglietto, perchè avrebbe saputo che Cochise ne aveva quattro di prigionieri americani, ma ormai era troppo tardi.

giovedi 7 febbraio – Cochise sicuramente pensava che non fossero sufficienti di avere prigionieri i quattro americani per lo scambio con i suoi familiari, data l’ostinazione di Bascom. Il grande capo nella notte fece attaccare un’altra diligenza che era partita da Tucson per Apache Pass. Alcuni conducenti furono feriti nell’attacco, ma alle due di notte riuscirono ad arrivare alla stazione di posta e quindi essere in salvo. Il tentativo di Cochise di fare altri prigionieri era fallito. Nella mattinata tutto era tranquillo nella sorpresa generale dei soldati. per ragioni che nessuno conosce Cochise non si vede vedere per lo scambio dei prigionieri. Secondo Geronimo, l’ostinazione di Bascom avrebbe reso impossibile ogni scambio e la mancata risposta al biglietto era come un rifiuto a trattare…lo stesso Geronimo racconta: ” Perciò uccidemmo i nostri prigionieri, ci separammo e andammo a nasconderci tra le montagne.” E’ anche possibile e probabile che i quattro americani fossero stati uccisi dalle donne apache era di uso presso i Chiricahua. Le donne sfogavano le loro ire contro i nemici che avevano causato la morte dei loro cari. C’è anche la possibilità che la morte dei quattro americani sia avvenuta senza il consenso dello stesso Cochise. Questa tregua consentì a Bascom di chiedere rinforzi.

venerdi 8 febbraio – Tutti stavano pensando che gli Apache avessero lasciato il paese, in realtà molti con donne e bambini l’avevano fatto. Cochise alleandosi con Francisco e Mangas Coloradas era tornato con l’intenzione di liberare i suoi familiari. Geronimo che fu presente raccontò quei giorni: ” Nei pochi giorni dopo l’attacco ad Apache Pass ci organizzammo nelle montagne e tornammo per combattere i soldati. C’erano due tribù ( bande ) i Bedonkope e gli Apache Chokonen, entrambe erano comandate da Cochise “.  L’attacco di Cochise nonostante era ben preparato non portò i risultati che si sperava. Al tenentino arrogante Boscom gli va comunque dato atto che difese le postazioni e soprattutto la stazione della posta molto bene, un assalto degli apache sarebbe costata la vita a troppi guerrieri, per questo i Chiricahua si ritirano.Con l’arrivo dei rinforzi dell’esercito si chiuse difinitivamente il discorso del negoziato. Francisco e Mangas Coloradas si diressero a Gila, mentre Cochise con i suoi Chokonen verso il Sonora. Il fratello e i due nipoti di Cochise furono impiccati, la moglie e il figlio Naiche furono poi liberati. La stessa sorte toccò ai quattro americani che furono torturati a morte.

Cochise odiò gli americani e per 10 anni fu la guerra.

COCHISE NELLA STORIA DEI NATIVI AMERICANI FU L’UNICO CAPO AD AVERE UNA RISERVA PER SE’ E PER IL SUO POPOLO, FU LUI A DECIDERE DOVE STARE. QUANDO MORI’ DI VECCHIAIA AMMALATO FU SEPOLTO IN UN LUOGO CHE RESTERA’ PER SEMPRE UN SEGRETO.

FONTE: Edwin R. Sweney – Cochise – Edizioni Mursia –

GERONIMO

VICTORIO

KAYTENNAE

LOZEN

Lozen grande guerriera apache, sorella di Victorio. Leader Spirituale e donna madicina. Nelle sue mani aveva la dote di sentire quando il nemico si avvicinava. E’ stata al fianco di Victorio, di Geronimo, di Cochise. Quando gli Apache furono deportati anche lei era lì, ma di lei non se ne parla, la deduzione che potremmo dire che gli Apache hanno voluto proteggerla fino alla fine.

VI CONSIGLIO DI TROVARLO E LEGGERLO QUESTO LIBRO OLTRE AD ESSERE MOLTO BELLO C’E’ TUTTA LA STORIA DEGLI APACHE.

CAVALLO PAZZO – TASHUNKA WITKO

LA MACCHINA FOTOGRAFICA MI RUBA L’ANIMA.

QUESTE PAROLE SONO ATTRIBUITE A CAVALLO PAZZO CHE NON AMAVA ESSERE RIPRESO DA UNA MACCHINA FOTOGRAFICA. SECONDO DEGLI STORICI QUESTA E’ UNA SUA POSSIBILE FOTO. IO CONCORDO PIENAMENTE CON UN SUGGERIMENTO CHE MI E’ STATO DATO. IN QUEL PERIODO LA SUA IMMAGINE ERA RICERCATA E C’ERA SEMPRE QUALCUNO CHE SOSTENEVA DI AVERLO RIPRESO. NESSUNO PUO’ SMENTIRE QUESTO, MA DI UNA COSA E’ CERTA TASUNKA WITKO ( CAVALLO PAZZO ) NON SAREBBE MAI ANDATO IN UNO STUDIO FOTOGRAFICO E METTERSI IN POSA. QUINDI HO MOLTI DUBBI CHE QUESTA FOTO SIA DEL GRANDE E VALOROSO GUERRIERO.

” Ho visto morire Orso Che Conquista, per una stupida storia di mucche, ho visto morire, massacrare gli Cheyenne. Ho visto massacrare i Sicangu di mio zio Coda Maculata, che voleva essere solo amico dei bianchi, ho visto bambini, donne e vecchi chiusi come bisonti nel cerchio e massacrati, mentre i guerrieri che cadevano sotto le pallottole intonavano canti di morte. Ho visto tutto questo e non lo dimenticherò.

Nessun patto o mediazione è possibile con i bianchi che pensano di possedere la Madre Terra, gli alberi, gli animali, l’acqua.

Nessuna mediazione è possibile, nessun patto, è pazzo chi crede di farlo.

Il cane che lecca una mano, non vede il coltello nascosto nell’altra.”

” I soldati del Grande Padre bianco non sono come voi. Non hanno una casa in nessun luogo. Non hanno mogli, ma donne che pagano.

Non sanno cosa vuol dire avere figli.

Essi, Fratelli, sono venuti a cercarci nelle nostre terre, per ucciderci.

In questa guerra si deve combattere in modo diverso da quello che noi, Lakota, conosciamo. Non per contare i molti colpi, né per compiere imprese onorevoli da celebrare durante la Danza della Vittoria.

Questa è una guerra per uccidere, una guerra finale perchè si possa vivere, finalmente, in pace nella nostra terra.”

” Prefirivamo il nostro modo di vivere. Tutto ciò che volevamo era la pace e che ci lasciassero tranquilli.”

TORO SEDUTO

” Se siamo come singole dita ci possono spezzare con facilità,

ma tutti uniti diamo vita a un pugno potente “.

” L’ unico indiano rimasto sono io.”

” Quale trattato che i bianchi hanno fatto, ha l’uomo rosso infranto?

Nessuno.

Quale trattato che l’uomo bianco ha fatto con noi, ha mai rispettato?

Nessuno.

Quando ero ragazzo, i Sioux possedevano il mondo: il sole sorgeva e tramontava sulla loro terra; avevamo diecimila uomini per combattere.

Dove sono adesso i guerrieri?

Chi li ha uccisi?

Dove sono le nostre terre?

Chi le possiede ora?

Può l’uomo bianco dire che io ho mai rubato un pezzo della sua terra o un soldo del suo denaro?

Eppure essi dicono che sono un ladro.

Quale donna bianca, trovata sola, ho mai fatto prigioniera ed offesa?

Eppure essi dicono che sono un cattivo Indiano.

Quale uomo mi ha mai visto ubriaco?

Chi è mai venuto da me affamato, che non ho sfamato?

Chi mi ha visto picchiare le mie mogli o maltrattare i miei figli?

E’ una colpa che io ami il mio popolo? E’ una colpa perchè la mia pelle è rossa?

Perchè io sono Lakota, perchè sono nato dove mio padre è morto, perchè voglio morire per il mio popolo e il mio paese?

DUE LUNE

CAPO GIUSEPPE

HEINMONT TOOYALAKE – NEZ PERCE’.

Dite al generale Howard che conosco il suo cuore. Ciò che mi ha detto, è rimasto nel mio cuore.

Sono stanco di combattere. I nostri capi sono morti…e tutti i nostri vecchi sono morti.

IL guerriero che guidava i giovani, è morto.

Fa freddo e non abbiamo coperte.

I bambini più piccoli stanno morendo di freddo.

Il mio popolo, una parte di esso, è fuggito sulle colline, e non ha ne cibo, nè coperte:

nessuno sa dove si trova…forse stanno morendo di freddo.

Chiedo di darmi tempo per cercare i miei figli

e vedere quanti ne riesco a trovarne.

Forse li troverò in mezzo ai morti.

Ascoltatemi Capi!

Sono stanco!

Il mio cuore è triste e malato. Da dove, ora, riposa il sole, io non combatterò più.

Capo Giuseppe

FALCO NERO

Ecco che cosa disse Falco Nero dopo che fu liberato dalla prigione federale per aver dichiarato guerra all’allora governo degli Stati Uniti nel 1833.

” Ho partecipato al trattato, ma non sapevo che con quell’atto cedevo il mio villaggio. Se mi fosse stato spiegato, non lo avrei firmato e mi sarei opposto, come poi con la mia condotta ho dimostrato. Noi non sappiamo nulla delle abitudini, delle leggi e dei costumi dei bianchi. Possiamo giudicare quello che è giusto e appropriato, solamente con i nostri parametri di giusto o di sbagliato, che non fanno parte di quello dei bianchi, se fossi stato bene informato. I bianchi si comportano male per tutta la vita e poi, se ne sono dispiaciuti in punto di morte, va tutto bene! Da noi è diverso: noi dobbiamo continuare per tutta la vita a fare ciò che consideriamo giusto.”

ANNE MAE PICTOU AQUASH

Io sono una parte di questa Creazione come voi, nè più nè meno di quando lo sia ognumo di voi che è nel raggio del suono della mia voce.

Io sono la generazione delle generazioni prima di me, e delle generazioni che verranno…

Se sono andata contro questa Creazione, nessuno in questo Universo ha il potere di punirmi se non il Creatore stesso…

Voi continuate a controllare la mia vita con la violenza e le vostre necessità materialistiche. Mi rendo conto della vostra necessità di sopravvivere e di essere una parte di questa Creazione, ma siete voi che non comprendete la mia necessità…

Ho viaggiato attraverso paese ed ho visto i vostri ‘ indisciplinati ‘ servitori militari provocare coloro i cui diritti sono i vostri stessi diritti…

Non sono una cittadina degli Stati Uniti o una custode del Governo federale o di quello canadese.

Io ho diritto a continuare il mio ciclo in questo Universo in piena tranquillità.

Anna Mae attivista del AIM ( American Indian Movement ). Nel febbraio del 1976 venne ritrovato il suo corpo in un punto disabitato della riserva Pine Ridge. Dapprima l’autopsia attribuirà la sua morte per congelamento, poi in una seconda autopsia si scopre che Anna è stata uccisa con un proiettile alla nuca.

Al ritrovamento del cadavere le vengono tagliate le mani per le rivelazioni delle impronte e portate a Washington.

Ancora tutt’ora non è stato chiarito questo omicidio.

Johanna Brand le ha dedicato un libro uscito per l’edizione Xenia – Vita e Morte di Anna Mae Aquash.

ONORE A TE GRANDE GUERRIERA CHE TU SIA FELICE CON WAKAN TANKA NELL’ALTO DEI CIELI.

HOKA HEY, HOKA HEY. DAMMI FORZA DI PARLARE DEL TUO POPOLO.

OHIYESA ( Lakota Sioux )

Il vero indiano non attribuisce un prezzo alla sua proprietà o al suo lavoro. La sua generosità è limitata solo dalla sua forza e dalla sua abilità. Egli considera un onore essere scelto per un servizio pericoloso o difficile e considerebbe una vergogna chiedere un compenso.

Direbbe piuttosto:

”  Che la persona esprima la propria gratitudine secondo il suo criterio e il senso dell’ onore.”

PETE S. CATCHES

Sono un Oglala Lakota, nato e cresciuto nelle riserva di Pine Ridge.

Lo zio mi diceva:

” Non cercare mai di imitare qualcun altro; punta semplicemente ad essere te stesso. Vivi in questo mondo come Wakan Tanka ( il grande spirito ), Tunkasila ( il Nonno ), ha disposto che tu viva, perchè non potrai mai essere quello che non sei. Anche se ti sforzi al massimo di farlo, non riuscirai mai a essere ciò che non sei destinato ad essere.”

Una delle cose che mi ha insegnato mio è che non sarei mai stato un bianco, un wasicu, perciò non avrei mai dovuto imitare la vita dell’uomo bianco. Anche se mangio il suo cibo e adotto il suo stile d’abbigliamento, sarò sempre un Lakota, perchè parlo Lakota e vivo secondo l’uso Lakota. Sono un uomo medicina e l’uomo bianco non potrà mai essere come me. Potrà imparare a parlare Lakota, potrà cercare di imitarmi vivendo secondo gli usi Lakota, ma in questa vita, in questo mondo, non sarà mai un Lakota come lo sono io.

OHCUMGACHE – PICCOLO LUPO – ( Cheyenne Settentrionali )

Siamo andati a Sud e abbiamo molto sofferto laggiù. Parecchi di noi sono morti di malattie di cui ignoriamo il nome.

I nostri cuori cercavano e desideravano il paese dove siamo nati.

Non siamo rimasti che in pochi e vogliamo solo un pezzo di terra dove vivere in pace. Abbiamo lasciato, laggiù, le nostre dimore e siamo fuggiti durante la notte.

I soldati ci hanno inseguiti. Sono andato loro incontro a cavallo e ho detto che non volevamo la guerra: ho detto che volevamo solo tornare a Nord e, se ci avessero lasciati in pace, non avremmo ucciso nessuno.

La sola risposta che abbiamo ricevuto, è stata una raffica di pallottole.

SATANTA  ( Kiowa )

” Amo questa terra e i bisonti e non voglio separarmene. Voglio che tu capisca bene ciò che dico. Scrivilo sulla carta! Ho ascoltato una buona quantità di buone parole dai signori che il Grande Padre ci manda, ma essi non fanno mai ciò che dicono. Non voglio nessuna della vostre scuole e chiese nella mia terra. Voglio che i bambini siano allevati come sono stato allevato io. Ho sentito che tu intendi stabilirci in una riserva presso le montagne. Io non voglio fermarmi. Amo scorazzare per le praterie. Là mi sento libero e felice, ma quando ci fermiamo noi diventiamo pallidi e moriamo. Ho posato la mia lancia, l’arco e lo scudo, eppure mi sento sicuro in tua presenza. Ti ho detto la verità. Non ho nascosto neanche una piccola bugia da parte mia, ma non so se i tuoi emissari faranno altrettanto. Sono sinceri con me? Molto tempo fa queste terre appartenevano ai nostri padri; ma quando vado al fiume, vedo campi di soldati sulle sue rive. I soldati tagliano il bosco, uccidono i miei bisonti e, vedendo questo il mio cuore si gonfia di dolore. Così ho detto.”

Uno dei grandi capi che con Cavallo Pazzo sconfisse il famigerato generale Custer a Little Big Horn.

CHIEF SENEGA

PONTIAC

CAPO TECUMSEH

Discorso di capo Tecumseh ( 1810 ) durante il consiglio con il generale Harrison, contro la cessione delle terre.

Capo Tecumseh ( tribù degli Shawnee era un convinto fautore dell’unione dei Nativi , delle tribù dei Nativi, solamente unendo le varie unità in un’unica entità politico-militare si poteva contrastare la marea dei bianchi che sembrava inarrestabile.
Capìì solo con un movimento di resistenza unito poteva contrapporre l’avanzata e lo sfacello che avrebbero commesso i bianchi per la conquista dei territori.
————————————————————————————————————————————

– ” Voi costruite case per tenervi consiglio. E’ vero che sono uno Shawnee. I miei avi erano guerrieri. Il loro figlio è un guerriero. Da loro ho preso solo la vita: dalla mia tribù non ho preso nulla. Sono l’artefice della mia fortuna; e sì, che io possa fare quella del del mio popolo rosso, e del mio paese,tanto grande quando le idee della mia mente, quando penso allo Spirito che governa l’universo. Io non verrò dal governatore Harrison, per chiedergli di stracciare il trattato, e cancellare il segno di confine; ma gli direi, Signore, sei libero di tornare al tuo paese. L’essere interiore, che è in comunione con le ere passate, mi dice che una volta, sino agli ultimi tempi, l’ uomo bianco non c’era in questo continente.
Esso apparteneva interamente all’ uomo rosso, figlio di genitori, pure rossi, collocati su di esso dal Grande Spirito che li aveva creati, per mantenerlo, traversarlo, godere dei suoi prodotti e riempirlo con la stessa razza. Una razza felice, una volta.
Da allora resa miserabile dalla gente bianca, che non è mai contenta, ma sempre invadente.
Il modo, e l’unico modo per controllare e fermare questo male, è, per tutti gli uomini rossi, di unirsi nel reclamare un comune ed eguale diritto alla terra, come era al principio, e dovrebbe essere ancora; perchè essa non è stata mai divisa, ma appartiene a tutti, per l’uso di ciascuno.
Che nessuna parte ha diritto di vendere, nemmeno l’un l’altro, e tanto meno agli stranieri. che sono quelli che tutto vogliono e non si accontentano di nulla di meno.
Vendere una terra!
Perchè non vendere l’aria, il grande mare, allo stesso modo che la terra? Non fece forse il Grande Spirito tutte queste cose perchè ne disponessero i suoi figli? La gente bianca non ha diritto di prendere le terre agli Indiani, perchè essi le possedettero prima; la terra è loro.
Essi possono vendere, ma devono unirsi.
Nessuna vendita è valida se non è effettuata da tutti. L’ultima vendita è stata cattiva. Fu fatta da una sola parte di noi.
Una parte sola non sa come vendere. Sono richiesti tutti per fare un accordo per tutti. Tutti gli uomini rossi hanno un eguale diritto sulle terre non occupate. Il diritto di occupare è valido in un posto come in un altro.
Non possono esserci due occupazioni nello stesso posto. Il primo esclude gli altri.
Non è così cacciando o viaggiando; perchè in tal caso lo stesso suolo può servire molti, perchè essi possono susseguirsi l’un l’altro durante tutto il giorno; ma il campo è fisso, e così l’occupazione. Esso appartiene al primo che si siede sulla coperta o pelle, che ha gettato sul suolo, e fino a che egli non va via nessun altro ha diritto a esso.-“

TECUMSEH: MORI’ NELLA BATTAGLIA DI POINT PLEASANCE.

Fonte: Dizionario degli Indiani D’America…Raffaele D’Aniello…Editori Newton & Compton.

APACHE PASS.

GERONIMO E NAICHE

APACHE PASS E’ IL LUOGO DOVE L’ESERCITO AMERICANO CON UN INGANNO VOLEVA LA RESA DI COCHISE…PER TUTTA RISPOSTA IL GRANDE CAPO CHIRICAHUA DICHIARO’ LORO GUERRA.

La rivolta è qualcosa che hai dentro. Non te la può togliere nessuno. E’ qualcosa che ti da vita. E’ qualcosa che ti fa muovere alla ricerca della verità, della giustizia.

La rivolta o tu l’hai dentro di te o non l’avrai mai.

La rivolta è qualcosa che appartiene al tuo stile di vita, all’anima, al tuo modo di percepire, capire, sentire e vedere la realtà delle cose, della vita.

La rivolta appartiene a tutti quegli uomini che si mettono in gioco, che non vogliono mai essere domati o schedati.

Nasci già con la rivolta dentro di te e quando sarai all’ultimo respiro prima di salire al cielo puoi dirti:

” SI SONO STATO VERAMENTE IO.”

Ecco perchè amo i miei fratelli rossi, sono stati massacrati, decimati dall’uomo bianco, ma non si sono mai arresi.

LA TERRA NOI NON LA VENDIAMO.

– Apache –

Chiricahua, guerriero Apache.

La società apache si fondava sulla ritualità, interventi soprannaturali venivano costantemente riportati alla realtà della loro vita quoditiana.

Vi era un forte legame, affettivo con il luogo dove essi nascevano. Quando vi ritornavano sia bambini che adulti si rotolavano spesso sul terreno nella direzione dei quattro punti cardinali.

A circa poche settimane dalla nascita la madre o la nonna gli forava i lobi dell’orecchio, perchè potesse ‘ udire le cose più velocemente ed essere pronto all’ubbidienza.

La disciplina nella famiglia era di estrema importanza e i bambini Chiricahua fin da piccoli venivano educati ad obbedire ai propri genitori.

I primi sei, sette mesi li passava in una culla costruita apposta per lui. La culla era ddi legno poteva essere di quercia, noce o di frassino. Sul fondo veniva coperta da pelle di daino.

Dopo il quarto giorno veniva celebrata la ‘ cerimonia della culla ‘ da uno sciamano ( il termine sciamano non appartiene alla cultura dei nativi americani quindi userò la parola anziano d’ora in poi o uomo medicina ).

L’anziano pregava affinchè il bambino avesse una lunga e buona vita e attaccava alla culla degli amuleti che dovevano proteggere il neonato. Anche la madre vi aggiungeva i suoi di portafortuna, tutto questo era di proteggere il bambino dagli spiriti e poteri maligni.

La ‘ cerimonia della culla avveniva di mattina presto e alla presenza di tutta la famiglia, la culla poi veniva sollevata nella direzione dei quattro punti cardinali, si cominciava da est e si proseguiva in senso orario ed infine veniva messo il bambino. A fine cerimonia veniva fatta una festa o danza sociale.

Verso i setti mesi si teneva la ‘ cerimonia del mocassino ‘, il bambino veniva chiamato Figlio dell’ Acqua. Sempre un’anziano o una persona che conosceva il rito faceva compiere quattro passi al bambino e ad ogni passo diceva una preghiera. Anche questa cerimonia era un’occasione per dare una grande festa.

Dopo la cerimonia del mocassino, a primavera c’era il rito del taglio dei capelli, veniva messo del polline sulle guance e sulla testa e poi a parte una ciocca o due i suoi capelli venivano easati. Solo in questa occasione perchè poi venivano fatti ricrescere e lasciati lunghi. I Chirricahua avevano una grande cura per i capelli per tutta la loro esistenza.

La religione dei Chiricahua insegnava ai bambini la virtù dell’umiltà e della gratitudine e quando essi incominciavano a capire gli veniva insegnato a essere religioso ed a usare parole sacre: Colui che da vita, Figlio dell’Acqua, Donna Dipinta di Bianco. Gli veniva fatto conoscere i capi tradizionali e le montagne sacre come ‘ potenti fonti di viscere soprannaturale ‘. Inoltre venivano raccontate storie che avevano alla fine una morale o insegnamenti, tutto questo era per avviare il bambino alla vita adulta.

I figli dei capi avevano un’educazione migliore rispetto agli altri, a questi bambini venivano dedicate maggiori attenzioni: dovevano stare dai cattivi comportanti, non dovevano risentirsi, non dovevano litigare non era degno di loro, di non rubare agli amici e non essere cattivi nei giochi con gli altri. ‘ Se sei gentile ora lo sarai anche da grande ‘.

Se vi era un cattivo comportamento venivano rimproverati cercando di riportarlo sulla giusta via, i genitori potevano anche frustarlo, ma questo non avvenima mai.

I genitori con riti, cerimonie cercavano sempre di proteggere il figlio affinchè avesse una buona fortuna.

A sette anni gli veniva donato un arco e frecce e poteva unirsi ai coetanei dove iniziavano a cacciare uccellli e piccoli animali. I ragazzi venivano separati dalle ragazze e iniziavano a praticare giochi che esaltavano la forza, l’agilità e l’essere veloci. I giochi che praticavano potevano essere il tiro alla fune, la lotta e soprattutto l’equitazione. I ragazzi trovavano sempre dei buoni cavalli da cavalcare. anche quì tutto veniva sempre accompagnato da riti, cerimonie, preghiere e oggetti sacri.

Dopo questa fase veniva dominata la prestanza fisica, autodisciplina e l’indipendenza. Gli anziani incoraggiavano sempre il ragazzo ad avere cura del suo corpo spesso gli veniva detto:

” Nessuno ti aiuterà in questo mondo…le tue gambe sono i tuoi amici.”

Il ragazzo a quest’età cacciava sempre più e da queste esperienze cercava di acquisire abilità, cautela, pasienza e costanza e per garantirsi il successo nella caccia gli si consigliava di inghiottire il cuore crudo del primo animale che fosse ucciso.

Oltre alla sempre più conoscenza dei cavalli, gli venivano affidati compiti di maggiore responsabilità come fare la guardia e le ricognizioni.

All’età di quattordici anni, il ragazzo era pronto per diventare un vero guerriero, chiamato Dikohe o Novizio. Quando era maturo si offriva volontario per delle spedizioni, la famiglia era sempre presente avvertendolo dei pericoli e delle sofferenze a cui andava incontro.

A quell’età era il gruppo locale, la banda che si assumeva la responsabilità del ragazzo. Spesso venivano affidati ad anziani con esperienze di guerra. l’addestramento diventava più duro, venivano fatte prove fisiche del tipo: quando i laghi erano ghiacciati dovevano tuffarsi nelle acque gelide, ma la maggiore preparazione era la corsa, gli si ordinava di correre sulle colline e di ritornare il più velocemente possibile, questo serviva ad un maggiore addestramento all’obbiedenza e alla preparazione fisica alla vita di guerriero.

Il giovane era pronto alla fase finale del Dikohe, appena vi era una spedizione si offriva volontario ed un anziano lo preparava all’azione. Durante la spedizione venivano osservati i comportamenti del futuro guerriero, soprattutto l’obbedienza ai capi. Se agiva in modo non adeguato, dava segni di codardia, di disonestà, di voracità o di sfrenatezza veniva considerato a vita non affidabile.

I nuovi guerrieri venivano sempre protetti perchè se fossero stati feriti il demerito veniva dato ai capi della spedizione.

La prova finale consisteva in quattro spedizioni, veniva chiamato Figlio Dell’Acqua, portava un copricapo, imparava parole speciali e doveva solo mangiare cibo freddo e bere attraverso una cannuccia.

Dopo le quattro spedizioni e se il giovane rientrava nei ranghi del guerriero a quel punto poteva fumare, sposarsi e goderne tutti i privilegi, questo si raggiungeva verso l’età di sedici anni.

FONTE: Cochise – Edwin R. Sweeney – Edizioni Mursia –

STRAGI E INFAMIE.

IL GENOCIDIO DI CUI NESSUNO PARLA.

Questa pagina la dedico in onore a tutti i fratelli rossi uccisi ignobilmente.

ONORE A VOI…

29 NOVEMBRE 1865 – STRAGE DI SAND CREEK – Il capitano John M. Chivington ordina l’attacco e il massacro nell’accampamento di circa 150 Cheyenne. In gran parte di bambini e donne e soprattutto anziani che si erano impegnati per il mantenimento della pace. I soldati mutilarono i corpi degli Indiani. I genitali maschili li trasformarono in borse per tabacco, quelli femminili in ornamenti per selle e cappelli.

1837 – Un minatore americano James Johnson, attirato dalla taglia offerta dal governo di Sonora per gli scalpi Apache con suoi 17 macellai, mostri, infami organizzò un crimine pari a quello di Sand Creek se non peggiore per il metodo vigliacco usato. Invitò ad una festa Juan Josè capo indiano, capo Apache che si convinse dopo battaglie a trattare con gli spagnoli nel 1826 per l’estradizione del prezioso materiale. ( oro ). Così fu fondata Santa Rita del Cobre, una piccola e prosperosa città ai piedi delle colline.

Juan Josè con tutta la sua tribù accettò l’invito del famigerato e canaglioso James Johnson non sospettando assolutamente nulla. Nella piazza del villaggio, ad un lato fece nascondere gli uomini armati e persino un obice caricato a pallettoni e chiodi.

Quando gli Apache, ormai ubriachi e si stavano spartendo la farina offerta fra di loro, la canaglia, il macellaio Johnson accese con il proprio sigaro il cannone e e i suoi compari aprirono un fuoco micidiale sulla folla. Pistole in pugno poi si precipitarono a completare la strage. I sopravvisuti opposero una fiera resistenza e molti di questi assassini furono uccisi. Il vecchio capo Juan Josè coperto di sangue si battè come un leone, ma fu ucciso proprio dall’infame Johnson che considera amico.

In quella festa morirono non meno di 400 Apache, per metà donne e bambini. Questi infami poi si dedicarono all’orrenda operazione degli scalpi che fruttò loro una bella somma. Tra questi vi era anche Mangas Colorado che divenne uno dei più grandi e amato capo del popolo Apache.

INIZIO 1863 – Mangas Colorado, aveva 65 anni, quando stanco di combattere, seguito dalla metà della sua tribù cercava uno spiraglio per trattare la pace. Tra Santa Rita e Pinos Altos vi era un accampamento di una trentina di esploratori che li guidava un certo Walker. Per caso in quel preciso momento giunse una compagnia di volontari californiani, che costituiva l’avanguardia delle quattro compagnie agi ordini del generale West, inviato da Carleton contro la tribù degli Chiricahua. Il piano messo a punto dagli esploratori convinse anche i soldati. Così misero una bandiera bianca e fecero venire Mangas a Pinos Altos, dichiarando intenzioni pacifiche.

Lasciata la tribù sulle colline, il grande capo si recò al colloquio portando con se solo tre guerrieri. I soldati lo catturarono e gli venne comunicato che avrebbe dovuto garantire la sicurezza di tutto il distaccamento di Walker. Il grande capo fu obbligato a rimandare indietro la sua scorta e con l’ordine di far allontanare la tribù sulle colline. Non contenti di tutto questo, Mangas fu condotto prigioniero a Fort MacLane, dove era arrivato anche West. Il grande capo si rifiutò di rispondere al generale, che lo accusava di razzie, saccheggi ed omicidi. Per tutta risposta West ordinò di tenerlo prigioniero e di sparargli se avesse tentato di evadere. Durante la notte un soldato di guardia divertendosi scottò con la baionetta arroventata nel fuoco da campo i piedi del grande capo. Mangas Colorodo accennò un gesto di difesa, venne ucciso. Il suo cadavere venne scotennato e buttato in una fossa. Poi fu riesumato e gli fu tagliata la testa per venderne il cranio. Gli americani si inventarono che l’uccisione del grande capo Apache fu dovuta perchè egli stava scappando a cavallo.

1837 Un reparto di militari comandati da Josè Maria Amador invitò ad una festa gli indiani del Sacramento, dove essi si recarono in grande numero. Furono circondati e incatenati. Fu loro annunciato la loro morte e siccome fra di essi c’erano 100 cristiani si sarebbe incominciato proprio con loro. Ad ogni chilometro, chilometro e mezzo sulla via del ritorno 6 indiani furono fatti inginocchiare e a dire le proprie preghiere e poi furono uccisi con due frecce nel petto e due nella schiena. Chi si rifiutava veniva trafitto dalle lancie. Poi fu la volta dei non convertiti che dapprima vennero battezzati e poi fucilati.

1839 Yozcolo, Miwok di Santa Clara riuscito a sfuggire per anni ai messicani, fu catturato con i suoi dopo una dura battaglia durata un giorno intero, ferito fu assassinato da un soldato che portò la sua testa in trionfo a Santa Clara.

1870…23 gennaio, dopo 15 giorni, allo scadere del tempo dove il generale Sally intimò ai Piegan di consegnare i colpevoli dei furti dei cavalli, il maggiore Baker partito senza preavviso con 6 compagnie di cavalleri, attaccò il primo villaggio di Piegan inoffensivi, già decimato dall’epidemia del vaiolo e privo di guerrieri validi, che erano andati a cercare cibo. I militari abbatterono selvaggiamente tutti gli indiani che trovarono sulla loro strada su 219 presenti, 33 uomini, 90 donne e 50 bambini furuno massacrati. Il villaggio fu distrutto e furono portati via i cavalli.

1871…Massacro di Camp Grant 30 aprile 1871.

A Tucson fu istituito un ‘ Comitato di Sicurezza pubblica, composto da 80 signori, come risposta alle razzie Apache. Chiaramente era un pretesto, questi cosidetti volontari dell’ordine e di fare rispettare le leggi, erano commercianti, impiegati, trasportatori, allevatori, albergatori e gestori di saloon, tutti uniti in un profondo razzismo e all’eliminazione degli apache. nessuno mise in dubbio che i colpevoli delle razzie erano gli Apache di Camp Grant.

Ma chi erano gli apache di Camp Grant?

Erano gli Aivaipa e il loro capo si chiamava Eskiminzin. In un primo momento Eskiminzin portò la sua banda nelle montagne per tenersi lontano dai massacri degli uomini bianchi contro gli Apache. Le condizioni per molti anni furono quelle di soffrire una miseria che più nera non si poteva così decise di riportare quel gruppo di apache a Camp Grant, dove effettivamente sotto la promessa del tenente Whitman di difenderlo 500 Arivaipa piantarono un villaggio e fu messa la terra in coltura. Per permettere agli Apache di sopravvivere fino al primo raccolto il tenente Whitman fa distribuire ogni 5 giorni mais e farina e lui stesso a controllarne la qualità. Le donne apache gli consegnano del foraggio ed egli le paga un cent a libbra. Quel piccolo popolo di Apache si mette al lavoro, alcuni fattori bianchi lì vicino iniziano a dare lavoro agli apache essendo soddisfatti con quanto zelo gli uomini di Eskiminzin svolgono i loro compiti e nessuno presagiva che sarebbero stati massacrati.

La stampa di Tucson dalla linea dura contro tutti gli apache ne parla in termini di distruzione, ma nessuno riesce a capire chi sono gli Apache delle scorrerie, se sono i Pintal e Chiricahua. Sta di fatto che un convoglio fu assalito a nord di Camp Grant, fu assalito un ranch e rubato il bestiame in Marzo. San Xavier, a sud di Tuscon, fu presa d’assalto da dieci apache lasciandone uno morto sul caampo. Per Juan Elias, un allevatore messicano, e consigliere municipale della città di Tucson,non c’erano dubbi vedendo il cadavere disse che l’apache morto proveniva da Camp Grant. Il tenente Whitman giura che non poteva essere, perchè gli apache di Camp Grant era tranquilli, operosi e  che venivano contati tutti i giorni. Il generale Stoneman prende le difese del tenente Whitman e del capitano Stanwood davanti al Comitato di Tucson pronto per sterminare gli apache di Eskiminzin.

Il generale però fa un po’ come Ponzio Pilato, fa capire per prudenza al Comitato di organizzarsi da soli. Questo non era dargli carta bianca, ma il Comitato il suo discorso lo prende proprio così.

Il 26 aprile dopo una riunione agitata del Comitato si discuteva chi doveva attaccare gli Apache. I bianchi si defilarono, solo 6  si offrono volontari, questo provoca una delusione, mentre 42 messicani e 92 papago ottimamente retribuiti prenderanno parte alla spedizione. In tutto saranno 140 uomini ai quali il maresciallo generale dell’Arizona fornirà discretamente armi e munizioni. La spedizione fu prevista dopo due giorni, prima del ritorno del capitano Stanwood partito il 22 per un giro d’ispezione e nel campo rimanevano solo una cinquantina di soldati.

Il 29 aprile dopo aver compiuto dei strani giri per essere più discreta possibile la legione di Tucson raggiunge al crepuscolo le rive di San Pedro. La legione fece appostare sentinelle con l’ordine di divieto di passaggio. Uno di questi posti di guardia rimanda indietro un soldato a Camp Powell vicino Tucson, da dove proveniva. Il soldato avverte il suo capitano Penn, il quale manda il sergente King a Camp Grant. Riuscirà quest’ultimo a passare e quindi avvertire il capitano Whitman?

La legione, i mercenari, trascorre la notte ben nascosta sulla riva dell’Arivaipa Creek, da dove teneva sotto controllo il villaggio apache. Sta per farsi giorno e come nel 1864 a Sand Creek e Washita nel 1868 mentre  gli apache dormivano, iniziava il massacro.

Più tardi Whitman ricordando i suoi apache, il loro coraggio, la gioia per il lavoro, la loro natura pacifica scriveva:

” Tale era la situazione fino al mattino del 30 aprile. Questi indiani mi hanno sedotto ben al di là delle intenzione che avevo nel trattarlli in maniera onesta e giusta, quale ufficiale dell’esercito; ne avevo fatto una questione personale di mostrare loro la via verso un grado più elevato di civiltà. Arrivai al punto di rispettare questi uomini, i quali nudi e ignoranti, si vergognavano di mentire o di rubare, e queste donne che lavoravano come schiave per poter  vestire se stesse e i loro bambini…

Nonostante il sergente King era riuscito a passare le sentinelle e a cavalcare tutta la notte Whitman non riuscì a fermare quel massacro, doveva fare in fretta, ma eratroppo tardi. Due interpreti filarono a in direzione del villaggio apache, dopo un’ora ritornarono sconvolti di quello che avevano visto. Il campo era stato dato alle fiamme e sul terreno vi erano i corpi di bambini, donne mutilati. Whitman non poteva lasciare il campo disponeva solo di 50 uomini, ma da l’incarico al sottotenente Robinson con il dottore C.B. Briesly e venti uomini di riportare i feriti se ce  ne fossero stati.

Queste furono le parole del medico:

” Al mio arrivo, constatai che non avrei avuto alcun bisogno del carro e nè di prestare cure; il lavoro era stato compiuto in modo totale… Quelli che erano stati feriti per primi furono finiti fracassandoli il cranio a colpi di pietra. Due belle donne giacevano dall’aspetto dei loro corpi erano state violentate e poi uccise. Ad un bambino di circa dieci mesi gli era quasi staccata dal corpicino una gamba oltre essere staato colpito con due pallottole. Gli assassini colpirono donne e bambini furono contati 118 cadeveri ma solo 8 erano uomini. 27 bambini furono catturati e portati via.

I sopravvisuti riuscirono a rifugiarsi sulle montagne, Whitman allettò degli interpreti con una ricompensa di cento dollari per dire loro che nessun soldato americano aveva partecipato a quell’infamia di carneficina.

Il 1 maggio Whitman lascia il posto ed ecco quello che disse:

” Formai un distaccamento fornito di pale e di picconi e seppellimmo i morti nelle vicinanze del villaggio…Mentre stavamo lavorando, diversi uomini ( Apache ) vennero sul luogo. Si abbandonarono all’espressione del loro dolore in un modo troppo selvaggio e terribile per poter essere descritto…

Quella sera stessa numerosi sopravvissuti uscirono dal loro rifugio, tra di loro c’erano anche Eskiminzzin e la sua nipotina, Chita di due anni. Il capo accetta di ritornare nel villaggio e di ricostruirlo nonostante aveva perso 5 figli e 4 mogli su nove. Whitman cerca di dare conforto a tutti: ” Ho fatto quello che ho potuto.”

Tuscon inebriava di felicità a quel massacro, fra tutti l’organizzatore dell’impresa il carnefice William S. Oury. La stampa si scaglia contro Whitman dicendogli apertamente  che non sa che farsene degli stati d’animo di un ufficiale che ha propensioni per l’alcol e per le ragazze indiane. Queste menzogne ripetute, confortano l’opinione pubblica così trova la perfetta giustificazione per i suoi eroi. Per gli uomini di quel massacro l’operazione di Camp Grant fu un vero trionfo. De Long un giornalista dalla penna intinta nel sangue e che avvelenava e eccitava gli spiriti il 17 maggio gli elettori lo innalzano alla carica di sindaco. tra i consiglieri municipali la sera stessa dello scrutinio figuravano, il maresciallo generale Hughes ( fornitore di armi e munizioni agli assassini ) e William S. Oury ( il cervello della maestosa impresa ).

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *